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Fuocoammare e la rappresentazione mediatica delle migrazioni

Lunedì 8 Maggio, presso l’Aula Oriana del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale si è tenuto il seminario “Comunicazione e migrazioni: a partire da Fuocoammare“”.

Il filo conduttore del dibattito è “Fuocoammare”, film diretto da Gianfranco Rosi, vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino del 2016 e candidato al Premio Oscar 2017. Il documentario ha come oggetto l’isola di Lampedusa e gli sbarchi di migranti che la interessano; in particolare, racconta tre storie che fungono da metafora di quella che è la percezione del fenomeno dell’immigrazione nella società odierna.

La prima è quella di Samuele che rappresenta la popolazione occidentale: essa, esattamente come il bambino, teme il mare e gli sbarchi di persone estranee. Entrambi hanno l’occhio pigro, non riescono a vedere bene la realtà.

La seconda storia ha come protagonisti i migranti, coloro che fuggono e vanno alla ricerca di un posto migliore.

Infine, la metafora dell’isola incarnata dalla figura del dottore il quale fa da ponte tra il bambino, quindi il mondo occidentale, e i migranti.

Un film che non è politico ma che parla di una realtà che invece è politica. È concepito come un genere neorealista perché racconta i fatti attraverso un punto di vista etico; è inoltre definito “anthropos universale” poiché parla di valori universali e di “nuova fratellanza”.

Una rappresentazione quella di “Fuocoammare” distante da quella a cui siamo abituati ogni giorno, basata  invece su stereotipi che producono un immaginario fatto di ansia e paura. Un tipo di costruzione mediatica che viene alimentato maggiormente dai programmi di infotainment, genere sempre più diffuso all’interno del palinsesto televisivo, che innesca a sua volta una sempre più accentuata strategia della tensione.

C’è bisogno di un’informazione che sia migliore, che contrasti l’assuefazione da cui sembriamo essere avvolti: non ci stupiamo più, non siamo sorpresi se leggiamo la notizia di un barcone affondato, se vediamo l’immagine di bambini morti annegati. Allo stesso tempo ci accontentiamo di un’informazione che non sempre è precisa ed esatta.

Il lato positivo della situazione attuale viene testimoniato dal Direttore Caritas, Enrico Feroci, e dalla psicologa Simona Liberatori con il progetto “Ero Forestiero E Mi Avete Ospitato“.

Iniziativa promossa dalla Caritas finalizzata all’accoglienza diffusa presso le parrocchie e gli istituti religiosi della Diocesi. Secondo gli ultimi dati, risalenti al 2016, sono 34 gli istituti e 2 le famiglie che partecipano al programma.

Conclude l’incontro il Professor Paolo Montesperelli, organizzatore ufficiale del seminario, con un una forte critica verso la “gerarchia delle morti” (morti di serie A e morti di serie B) presente nella nostra società. Sottolineando l’importanza di cambiare la realtà in cui viviamo, di salvare le persone a prescindere dalla loro provenienza, cultura o religione.

A parlare del fenomeno della migrazione e della rispettiva rappresentazione giornalistica, sono intervenuti Bruno Mazzara (Direttore Dipartimento Co.Ri.S), Gianpiero Gamaleri (Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione, Uninettuno), Tiziana M. Di Blasio (International Council for Film, Television and Audiovisual Communication UNESCO), Fabrizio Federico (assistente al montaggio e coordinamento di postproduzione del film “Fuocoammare”), Enrico Feroci (Direttore Caritas Diocesana Roma), Simona Liberatori (Psicologa del Centro Ascolto Stranieri e dell’Asilo Piccolo Mondo), infine, per il Co.Ri.S, i docenti Marco Binotto, Marco Bruno e Silvia Leonzi.

 

Sepastiana Gjoni

Intervista di Giulia Mazzi, a Marco Bruno (Docente di Storia e Modelli del Giornalismo)

      8 mag, 13.58